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Il mio parto cesareo

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È il 18 giugno del 2018 quando alle 3 della notte mi sveglio per andare a fare l’ennesima pipì, sicuramente una delle ultime prima della conclusione della mia gravidanza che dura da 39 settimane e 4 giorni. Sedendomi sul letto sento rompersi le acque. Corro in bagno, acque sporche.

Quello che so è che devo correre in ospedale. “Non hai neanche il tempo di una doccia!!”, queste le parole dell’ostetrica del corso preparto, che riecheggiavano nella testa.

Corsa per arrivare in ospedale.

Visita dopo visita, acque continuamente sporche ma zero contrazioni. Dilatazione poca, senza accenno ad aumentare.

Cammina cammina, avanti e indietro. Tutto uguale, nessun cambiamento di sorta.

“Signora, deve firmare, la dobbiamo portare in sala operatoria e far nascere la sua bambina con taglio cesareo”.

Sí, non sarò stata la prima né l’ultima, il fatto è che non ero pronta a ciò che stava succedendo. La mia bimba era in posizione, gravidanza andata bene (tralasciando i tre mesi di vomito), avevo deciso di non fare nemmeno l’epidurale ed ora mi stava venendo detto che avrei fatto nascere mia figlia in quel modo innaturale, senza che il mio corpo e la mia anima facessero quello per cui si erano preparati per ben nove mesi, senza calcolare tutte le volte nel passato in cui avevo immaginato a come sarebbe stato divenire mamma.

Mi fanno uscire per “pensarci”. Ma su cosa mai avrei dovuto pensare??! Rientro e firmo immediatamente i documenti. Quello che sapevo è che acque sporche indicano sofferenza fetale ed io non potevo aspettare oltre. Michelle doveva nascere.

Ebbene sì, il mio tanto atteso travaglio non è mai partito, non ho sperimentato le contrazioni (ancora ora mi chiedo cosa siano esattamente queste famose contrazioni), non ci sono state le ostetriche per ore a dirmi quando e come dovevo spingere e non ho avuto lacerazioni lì dove non batte il sole.

Fortunata? Sicuramente sí perché mia figlia è nata e stava bene.

Ma le cose che non ho avuto non sono finite.

Non ho avuto nessuno della mia famiglia al mio fianco perché non ammessi in sala operatoria, non ho avuto mia figlia sul mio petto appena nata, non ho avuto le mani libere mentre partorivo perché erano legate, non ho avuto scelta se farmi fare le punture nella schiena per essere operata o meno, non ho sentito parole d’amore e di incoraggiamento mentre mia figlia stava venendo al mondo ma ero lì inerme che, senza percezione del mio corpo alcuna, sentivo i dottori, infermieri e ostetriche parlare di mare e vacanze. Non ho partorito come avrei voluto, non sono stata in grado di prendermi cura di mia figlia appena nata perché non riuscivo nemmeno a tirarmi su per mettermi seduta. Ho convissuto con dei dolori post intervento che mai avrei immaginato.

Ma ho portato in grembo la mia bambina con tutto l’amore di cui sono stata capace e ho affrontato quell’inaspettato parto cesareo allo stesso modo delle altre mamme che, a differenza mia, hanno avuto la natura dalla loro parte (con annessi e connessi ovviamente). 

Ogni tanto provo ad immaginare come sarebbe stato partorire normalmente. Quanto sarebbe stato bello cullare e coccolare la mia bimba come facevano le altre mamme a cui tutto era praticamente passato mentre per me era appena iniziato. Non mi viene facile immaginarlo, ne’ tanto meno lo ricorderò, perché non c’è stato. 

Ogni mamma sa quello che ha passato per mettere al mondo il proprio figlio, per quanto ogni esperienza sia a sé. Quello che ci accomuna è l’amore infinito per ciò che la magia della vita ci ha regalato e che ci ha dato la possibilità di far crescere dentro di noi. Come poi viene fuori, a confronto, diventa un futile dettaglio. 

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